Proseguono gli appuntamenti de “La Musica ai tempi del Corona”. La rubrica vuole descrivere le emozioni, la quotidianità e le abitudini che un artista italiano è costretto a vivere in questi giorni di riposo forzato. In questa occasione, la testimonianza della cantante, pianista e compositrice Beatrice Arrigoni, è particolarmente sentita proprio per le sue origini bergamasche. Beatrice è leader del quartetto che porta il suo nome, e il progetto è interamente composto da brani originali di stampo jazzistico, all’interno del quale si mescolano elementi provenienti da mondi musicali diversi come il pop e il folk.
Beatrice, Bergamo è tra le città più colpite da questa tremenda epidemia. Come stai vivendo questo periodo? Cosa ti manca delle tue abitudini?
In questo momento sono dominata da un sentimento ambivalente: da un lato la gioia di potermi dedicare alle cose che voglio e dall’altra la sensazione di una catastrofe, di un’apocalisse in atto. Posso concentrarmi su cose per le quali non ho abitualmente il tempo che vorrei (cantare, suonare, studiare, scrivere), ma al tempo stesso sono consapevole del dramma che si sta consumando e ne sono impressionata. Da un lato provo serenità e soddisfazione nel poter gestire il mio tempo come voglio e nel potermi dedicare liberamente alla musica, ma dall’altro lato avverto un senso di inquietudine e di smarrimento di fronte a ciò che sta accadendo, e di cui tuttavia non ho diretta esperienza perché sono reclusa nelle mie quattro mura (necessariamente). È proprio questo “gap” tra la vita vissuta in casa nel proprio piccolo e l’inferno che si sta consumando fuori – soprattutto negli ospedali – a rendere le cose totalmente surreali: mi sento un po’ “prigioniera” in casa mia, un po’ spaesata da questo forzato isolamento e poco presente rispetto alla realtà, non avendo di fatto alcun contatto con essa se non indirettamente, attraverso le notizie che si sentono di continuo. Il problema in questo momento non è tanto trovare delle cose da fare – personalmente non mi annoio –, quanto convivere con un senso di pesantezza e precarietà, con la sensazione di un disfacimento complessivo e inesorabile delle cose.
Come cittadina di Bergamo sono angosciata e straziata, sono immersa in un dolore incredulo: non riesco a credere che la mia città stia subendo così tante perdite, che le persone muoiano senza poter riposare nel cimitero della loro città, che le persone ammalate o decedute siano costrette a stare lontano dagli affetti al punto da dover essere trasportate altrove. I miei parenti e amici stanno fortunatamente bene, ma sono allucinata dalla situazione: nei reportage rivedo luoghi familiari della mia città trasformati in campi di battaglia, con i militari che trasportano i morti in altre città e i giornalisti che ogni giorno riportano notizie sempre più drammatiche come si trovassero su un fronte di guerra (e di fatto, di una guerra si tratta). In tutto questo i fiori sbocciano imperterriti e la natura si risveglia, mentre il cinguettio degli uccelli è l’unico suono udibile in questi giorni, insieme alla sirena dell’ambulanza. Anche questo è surreale.
Della mia vita di prima mi manca sopra ad ogni cosa il contatto fisico con le persone e con gli amici: poterli vedere fisicamente e passare del tempo con loro, poterli abbracciare e poterci parlare di persona, poter suonare insieme ai miei amici musicisti. Il web offre tante opportunità di scambio e di incontro ed è importante, ma non è ovviamente la stessa cosa: sto familiarizzando giorno per giorno con la strana sensazione di trovarmi seduta al tavolo della mia cucina e al tempo stesso abitare lo spazio dell’altro, durante una conversazione con amici o una lezione di musica su skype. All’inizio è strano, mentre a lungo andare è straniante e quasi alienante. Mi inquieta pensare a quanto andrà avanti tutto questo, o meglio, sapere che probabilmente ne avremo ancora per un bel po’. Poi penso che finché siamo a casa al sicuro e stiamo bene non possiamo lamentarci perché la guerra vera la stanno combattendo i medici e le persone ammalate. Spero anche che una volta finito tutto qualcosa potrà cambiare in meglio. Ma forse è più un augurio che una certezza.
Tutto questo a disposizione ci sta dando molte possibilità nell’approfondire le nostre passioni. Come passi la tua giornata in questo periodo?
Faccio quello che mi sento giorno per giorno, e per questo non ho bisogno di “schemi” o di “plan” di alcun tipo. Al momento sto facendo parecchie lezioni di canto online con gli allievi delle mie scuole di musica, e per quanto sia diverso dalle lezioni frontali sono contenta di poter mantenere un contatto con loro. È un modo per non perdersi di vista, e per me è anche un modo per tenermi occupata nel lavoro abituale.
Passo il resto del tempo scrivendo musica, cantando, ascoltando musica, studiando, leggendo libri o articoli, facendo ginnastica in casa, ma sto anche sentendo tanti amici via skype e al telefono: sono molto contenta di questo perché pur nell’isolamento mi sento connessa agli altri; tanti amici mi hanno scritto per sapere come sto e com’è la situazione a Bergamo, e ciò mi ha molto rincuorato. Per certi versi questa lontananza forzata sta unendo le persone, o meglio, sta rafforzando dei legami e dei contatti che normalmente sono più discontinui. Forse questa situazione sta smuovendo emotivamente l’animo delle persone, e inoltre siamo costretti a stare in contatto più intimo con noi stessi, in relazione col nostro sentire profondo.
Io personalmente ho riscoperto un poco la lentezza e il silenzio, il fare le cose con calma, e mi è venuta anche voglia di fare delle cose diverse come sperimentarmi in cucina, cosa che non faccio mai per pigrizia o per scarsità di tempo. Vivo questo momento come un’opportunità, sotto vari punti di vista.
Stai suonando un brano in particolare? Cos’ha di particolare che ti ha spinto ad approfondirlo?
Non sto suonando un brano in particolare, ma sto raccogliendo delle idee per scrivere dei miei brani, approfittando del tempo libero a disposizione. Uno dei giorni scorsi ho ritrovato tra le mie raccolte una poesia di Eugenio Montale molto bella, che racconta di un mondo sospeso, fragile e un poco illusorio, che rischia di infrangersi ad ogni movimento. Mi ha ricordato qualcosa di quello che stiamo vivendo – anche solo l’esortazione a “non muoversi” –, e mi è sembrata riflettere il nostro presente di precarietà: ora che il mondo è esploso “noi forse resteremo”, ma per adesso non possiamo sapere, e non resta altro che stare fermi ad aspettare e piangere un poco nel nostro intimo. Il titolo stesso del testo esprime bene lo stato d’animo del momento, soprattutto in questi giorni di grande lutto per Bergamo. Dedico dunque questo brano alla città di Bergamo, ai suoi dolori e alle difficoltà che sta affrontando.
ELEGIA
Non muoverti.
Se ti muovi lo infrangi.
È come una gran bolla di cristallo
sottile
stasera il mondo:
e sempre più gonfia e si leva.
O chi credeva
di noi spiarne il ritmo e il respiro?
Meglio non muoversi.
È un azzurro subacqueo
che ci ravvolge
e in esso
pullulano forme immagini rabeschi.
Qui non c’è luna per noi:
più oltre deve sostare:
ne schiumano i confini del visibile.
Fiori d’ombra
non visti, immaginati,
frutteti imprigionati
fra due mura,
profumi tra le dita dei verzieri!
Oscura notte, crei fantasmi o adagi
tra le tue braccia un mondo?
Non muoverti.
Come un’immensa bolla
tutto gonfia, si leva.
E tutta questa finta realtà
scoppierà
forse.
Noi forse resteremo.
Noi forse.
Non muoverti.
Se ti muovi lo infrangi.
Piangi?
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